"Lasciami entrare!" - La chiave di lettura di Cime Tempestose
Scopri la morale segreta nascosta nel romanzo di Emily Brontë
(Clicca qui se preferisci ascoltare l’audio / Ninna Nanna per l’Anima)
“Lasciami entrare!" - Queste due parole intrise di mistero sono tra le più famose della letteratura inglese, e chi ama Emily Brontë le avrà subito associate a ‘Cime Tempestose’. In realtà sono sei le parole, non due, dato che questo famoso lamento viene ripetuto tre volte in pochissime righe, nel terzo capitolo del libro:
"Let me in. Let me in" singhiozza una "voce molto malinconica" nell’originale inglese. E poi, dopo qualche riga, la voce si lamenta ancora: "Let me in!" per la terza volta, creando quasi una sorta di incantesimo, un incantesimo che permea l’intera trama di questo romanzo.
E io credo che queste parole magiche potrebbero essere un codice segreto che Emily ha nascosto proprio all'inizio del libro per aiutarci a trovare la potente morale del suo capolavoro.
Ma prima di dirvi qual è questa morale e di decifrare il codice, rispondo subito a chi di voi potrebbe essere scettico: "Perché mai Emily avrebbe dovuto nascondere una morale nella storia? Non poteva renderla evidente a tutti? Non può essere che si sia semplicemente divertita a scrivere un racconto gotico, lasciando galoppare la sua immaginazione, senza la necessità di impartire alcuna lezione morale?”
Cime tempestose non è una "morbida sciocchezza".
Prima di tutto, Emily è una scrittrice di romanzi e quindi segue la regola d'oro di questo mondo, ovvero "Mostra, non raccontare!" Avesse voluto dirci la sua morale in modo diretto, avrebbe scritto un saggio. Ma con un romanzo invece ha dovuto tessere la sua potente morale nell’intreccio della storia, lasciando così che agisse proprio come un incantesimo. (E direi che ha funzionato, dato che siamo ancora qui a parlare di questo libro dopo quasi 200 anni!)
Ma qual è allora questa potente morale nascosta? Dato che purtroppo non abbiamo le parole di Emily su questo argomento (in pratica non le abbiamo su quasi nulla), per risolvere l'enigma mi hanno aiutata le parole della sorella di Emily, Anne Brontë, una sorella che qualcuno molto vicino a loro ha descritto come la ‘gemella’ di Emily’, tanto erano inseparabili, e Anne aveva le idee molto chiare sull’importanza dei romanzi nel trasmettere una morale.
Questo è ciò che Anne ha scritto nella prefazione del suo secondo romanzo "L'inquilino di Wildfell Hall":
"Il mio scopo nello scrivere le pagine che seguono non è stato semplicemente quello di divertire il Lettore, né quello di appagare il mio gusto personale, né ancora di ingraziarmi la Stampa e il Pubblico: desideravo dire la verità, perché la verità trasmette sempre la sua morale a coloro che sono in grado di riceverla. Ma poiché il tesoro inestimabile si nasconde troppo spesso in fondo a un pozzo, occorre un po' di coraggio per cercarlo..."
Super Anne Brontë, la più sottovalutata delle tre sorelle.
Sempre in quella prefazione ci dice anche che:
1. I romanzi sono un modo per "sussurrare qualche sana verità", piuttosto che "molte morbide sciocchezze".
2. I gioielli sono spesso nascosti nel "fango e nell'acqua".
E c’è certamente molto fango ed acqua in Cime Tempestose.
Tutte le storie contengono ‘verità difficili da digerire’
Un’altra lettrice scettica potrebbe dire: "Sì, va bene, ma questa prefazione è stata scritta DOPO la pubblicazione di Cime Tempestose!"
Molto vero. Ma ecco cosa scrisse Anne all'inizio del suo primo romanzo "Agnes Grey", che fu pubblicato insieme a Cime Tempestose nel 1847:
"Tutte le storie vere contengono insegnamenti, anche se in alcune il tesoro può essere difficile da trovare e, quando lo si trova, così insignificante in quantità che il gheriglio raggrinzito compensa a malapena la fatica di aver spaccato la noce".
Quindi l’amata sorella di Emily è fermamente convinta che ci sia un tesoro nascosto e una verità appena ‘sussurrata’ da trovare in TUTTE le storie vere, non solo nella sua, e che in ALCUNE questo tesoro possa essere trovato solo dopo aver "spaccato la noce". Ok, Anne non è Emily. Certo. Sappiamo però che le due erano molto legate e che queste parole sono state scritte più o meno nello stesso periodo in cui Cime Tempestose veniva scritto, e sotto lo stesso tetto. Quindi è proprio così difficile immaginarci Emily e Anne sedute insieme nel loro salotto con vista sulle brughiere, che discutono di come nascondere una morale scomoda nei loro romanzi, e che ne ridono anche insieme magari? Ma torniamo ai dati concreti…
Anne ci dice anche che i suoi lettori potrebbero non gradire affatto la morale nel libro, dopo tanta fatica fatta per trovarla, ma ad Anne questo non importa un fico secco, perché lei non scrive per compiacere noi lettori! E non scrive neppure, come abbiamo visto, delle “morbide sciocchezze”. Scrive solo con quel poco di zucchero quanto basta perché la pillola della sua morale vada giù (Mary Poppins docet).
Come scrive sempre nella prefazione: "Quando sento il dovere di dire una verità difficile da digerire, con l'aiuto di Dio, la dirò".
E armata di queste parole ho iniziato a spaccare la mia noce, a tuffarmi nel pozzo e a cercare tra il fango e l'acqua la morale sgradevole nascosta dentro ‘Cime Tempestose’.
Ed ecco cosa ho trovato.
Una favola…
Un’affascinante favola di Esopo.
La favola di Esopo: il filo conduttore di Cime Tempestose
La favola che io credo sia centrale per capire ‘Cime Tempestose’ viene da un libro
molto popolare pubblicato nel 1788 da Samuel Croxall e intitolato: “Fables of Aesop and others” (Favole di Esopo e altri). A quanto dicono gli esperti, di questo libro era uscita anche un’edizione nel 1825. All'epoca Emily aveva 7 anni.
Come facciamo a sapere che Emily ha letto le favole di Esopo?
Facile! Perché è sua sorella stessa a dircelo: Charlotte Brontë.
Se vi piacciono queste scrittrici avrete sicuramente sentito molte volte la storia di come avessero iniziato a immaginare storie partendo da alcuni soldatini di legno regalati al fratello Branwell dal loro padre, ecc. ecc. ecc.
Quello che è meno noto è che avevano anche iniziato a immaginare storie che avevano per protagonisti proprio dei personaggi delle favole di Esopo. Nel 1829 Charlotte scrive quella che ora è nota come "La storia dell'anno"1 per spiegare l'origine dei personaggi che chiamavano "The O Dears":
"Abbiamo fatto finta che ognuna di noi avesse una grande isola abitata da persone alte 6 miglia. Gli abitanti li abbiamo presi dalle favole di Esopo: Hay Man era il mio leader, Man Boaster quello di Branwell, Hunter quello di Anne e Clown quello di Emily".
Quindi sappiamo per certo che a Emily piaceva molto una favola di Esopo con protagonista un clown. E nel libro di Croxall citato prima c’è proprio una favola che si intitola “Il Bosco e il Clown” (The Wood and the Clown).2
A questo punto, l’unica cosa che gli esperti delle Brontë sembrano interessati a stabilire è quale versione delle favola sia stata letta da Emily, quale edizione del libro e così via. Mi chiedo quanti abbiano effettivamente letto quella favola. E mi chiedo quanti si siano presi la briga di leggerla con gli occhi Emily, per trovare un qualche collegamento con il suo capolavoro. Io l'ho fatto, o almeno ci ho provato, e forse mi sbaglio completamente, ma ecco quel che ho scoperto...
Lasciare entrare un nemico "di nostra spontanea volontà”
Prima di tutto, il ‘CLOWN’ protagonista di questa favola non era un clown come lo intendiamo noi, in stile circense, ma un clown secondo il suo significato arcaico in inglese, ovvero: “una persona di campagna non sofisticata; uno zoticone” (Oxford Dictionary).
Ve la traduco in breve: la favola racconta la storia di uno zoticone di campagna (il Clown) che entra in una foresta per chiedere il permesso di ricevere un pezzo di legna da usare come manico per la sua accetta, o ascia in altre versioni, manico che si era rotta o qualcosa del genere. Gli alberi del bosco, che sono molto curiosi, molto gentili e fin troppo generosi, lo fanno entrare e accontentano la sua richiesta dandogli un pezzetto di legna. “Che male può fare? Ne abbiamo tanta di legna qui!” Il Clown aggiusta così il manico della sua accetta e con quella inizia ad abbattere tutti gli alberi della foresta! Uno per uno.
Orrore! I due alberi rimasti ancora in piedi alla fine si dicono:
"Fratello, dobbiamo prenderci le nostre colpe".
La morale della favola è chiara: se lasci entrare il male di tua spontanea iniziativa, allora in parte è colpa tua e te ne devi prendere la responsabilità se poi ne soffri.
Boccone amaro, eh? Vi avevo avvisato.
(E non dico di essere d'accordo. Ambasciator non porta pena).
Subito dopo la favola, segue l' "Applicazione della favola" (più lunga della favola stessa) in cui Croxall ci dice: "Nessuna persona è più suscettibile di soffrire, di colui che fornisce ai propri nemici un qualsiasi tipo di assistenza".
Ora che sapete la favola, ecco come ho fatto due più due, notando esempi della sua morale come filo conduttore in tutto il romanzo di ‘Cime Tempestose’.
*** SPOILER ALERT ***
Cominciamo dal capitolo 27. Nelly e la piccola Cathy entrano a casa di Heathcliff, dopo essere state ingannate da Linton. E una volta entrate vengono rinchiuse per giorni contro la loro volontà. E cosa dice loro Heathcliff, quando si lamentano disperate che non sia legale il suo gesto etc.?
"Non potete negare che siete entrate in casa mia di vostra spontanea volontà".
Non serve aggiungere altro.
E se ci fossimo persi quel dettaglio, Emily fa in modo che ce ne ricordiamo.
Nel capitolo successivo, Nelly - finalmente libera - va a raccontare tutto al Signor Linton:
“Non appena (il signor Linton) si riprese, raccontai della nostra visita forzata e della nostra detenzione a Cime Tempestose. Dissi che Heathcliff mi aveva costretto a entrare: il che non era del tutto vero.”
Visto? Lei è ben consapevole che sono entrate di loro spontanea iniziativa.
Oppure vi basti pensare come Isabella Linton "lasci entrare” Heathcliff, fuggendo con lui, per poi ritrovarsi in una situazione infernale di violenza domestica. Suo fratello Linton ricorda a Nelly che Isabella “se ne è andata di sua spontanea volontà".
In pratica: "Cavoli suoi ora!” -
Un altro esempio clamoroso si trova nel capitolo XIV e nel successivo. Heathcliff è determinato a rivedere Cathy a tutti i costi, senza che il signor Linton ne venga a conoscenza, e sta chiedendo a Nelly di aiutarlo: "Tu potresti farlo così facilmente. Ti avvertirei quando arrivassi, e tu poi potresti lasciarmi entrare inosservato, non appena (Cathy) fosse sola." E puntualmente, la prima domenica che il suo padrone va in chiesa, ecco che Nelly porta la lettera di Heathcliff a Cathy e poi letteralmente lo lascia entrare lasciando aperte le porte (sì, porte al plurale, una non bastava):
"In genere avevamo l'abitudine di chiudere a chiave le porte durante le ore del servizio; ma in quell'occasione, la giornata era così calda e piacevole che le spalancai completamente [...] poiché sapevo chi sarebbe venuto."
E ovviamente: ‘La casa aperta era una tentazione troppo forte perchè Heathcliff potesse resistere dall’entrarvi’.
E ho detto tutto (Ma del ruolo di Nelly nell'aiutare Heathcliff ho parlato in un altro articolo. Spoiler alert: Non sono una sua fan!).
Aprire porte e chiavistelli al nemico
Rileggendo ‘Cime Tempestose’ attraverso la lente di questa favola, ho iniziato poi a notare la costante attenzione di Emily nel descrivere porte, chiavistelli, cancelli e serrature che o vengono aperte quando non dovrebbero, o vengono lasciate aperte quando c'è un nemico intorno, permettendogli di infiltrarsi.
Vediamo alcuni esempi:
Capitolo 2 - Mr. Lockwood sta raccontandoci della sua visita a Cime Tempestose:
“Su quella cupa collina la terra era indurita da una gelata e l'aria mi faceva rabbrividire fino alle ossa. Non riuscendo a togliere il catenaccio, saltai e... bussai invano perché mi facessero entrare, finché le nocche delle dita mi formicolarono e i cani ulularono.
Io non terrei le porte di casa sbarrate in pieno giorno.
Non m’importa. Io adesso entro!
Così deciso, afferrai il chiavistello o lo scossi con veemenza.”
Ah Mr. Lockwood…
O vi ricordate la famosa scena dove Heathcliff ritorna, dopo anni di assenza, nel capitolo 10?
"Si appoggiò alla parete e tenne le dita sul chiavistello, come se volesse aprire da solo", ci racconta Nelly. E anche se alla fine è lui che "solleva il chiavistello", è Nelly che lo "accompagna dentro casa", è lei che lo lascia entrare. Poi Catherine. Poi Edgar Linton.
Cathy poi ci dice che Heathcliff "è andato ad alloggiare a Cime Tempestose" e, prego ditemi: chi è che lo ha accolto a braccia aperte anche là?
Hindley! Il suo fratellastro Hindley, un uomo che lo odiava e che Heathcliff a sua volta odiava da morire.
Eppure ci viene detto da Cathy che "Hindley è uscito e si è messo a interrogarlo su come aveva vissuto, e alla fine gli ha chiesto di entrare... e trovandolo abbondantemente rifornito di denaro, gli ha chiesto di ritornare la sera".
Insomma...
Cosa diceva l'albero nella favola?
"Fratello, dobbiamo prenderci le nostre colpe".
L’unico personaggio che tiene le sue porte, cancelli e stanze ben chiuse sotto chiave è Heathcliff.
Ma l'applicazione della favola di Esopo non si limita a ricordarci delle nostre responsabilità nel lasciare entrare il male.
Il punto di rottura: perdonare la settantunesima volta è troppo!
Il signor Croxall continua la sua spiegazione della morale dicendo che dovremmo fare attenzione quando perdoniamo troppo chi non lo merita:
"È generoso perdonare, la religione ci impone di amare i nostri nemici, ma chi si fida di un nemico, contribuisce molto di più a rafforzarlo e ad armarlo, e può star certo che si pentirà della sua sua involontaria benevolenza".
E in Cime Tempestose non si parla forse spesso di "perdono"?
Il secondo sogno che fa il signor Lockwood (prima dell’incubo con il famoso "Lasciami entrare") riguarda proprio un predicatore che sottolinea l'importanza di perdonare "settanta volte sette". Non si tratta di Emily che fa la melodrammatica con i numeri. Si trova nella stessa Bibbia che lei conosceva bene.
Matteo 18, versetti 21- 22.
"Signore, quante volte dovrò perdonare mio fratello o mia sorella che pecca contro di me? Fino a sette volte?" e Gesù risponde: "Ti dico che non sette volte, ma settanta volte sette".
Ma arriva un momento, ci dice Lockwood attraverso il suo sogno, quando perdonare qualcuno è troppo, e nemmeno Gesù lo farebbe. "La settantunesima volta" è la goccia finale. Lockwood ne ha avuto abbastanza e lo dice ad alta voce. E non è forse indispensabile che impariamo tutte a dire il nostro "ne ho avuto abbastanza!" quando è il momento giusto, o prima che sia troppo tardi? A volte è una lezione salvavita da imparare, soprattutto per noi donne, come ci dimostra Isabella Linton quando trova il coraggio di lasciare Heathcliff per sempre.
Quel che è troppo è troppo.
E di perdonare Heathcliff non ne vuole nemmeno sentir parlare, come dice a Nelly: "Dato che è stato lui il primo a ferire, lascia che sia lui il primo a implorare perdono; e poi, beh, Ellen, allora potrei mostrarti un po' di generosità... Ma è assolutamente impossibile che io possa mai vendicarmi, e quindi non posso perdonarlo."
Heathcliff, il Clown/Taglialegna della favola (e ‘rustico in tutto e per tutto’)
Non appena ho messo insieme tutti questi primi pezzi del puzzle, ho cercato la parola "clown" (zoticone) in Cime Tempestose. E c’era eccome. Ben quattro volte.
Una volta è nel capitolo XXXI, quando il signor Lockwood, descrivendo Catherine Linton, ci dice: "Vivendo tra zoticoni e misantropi, probabilmente non riesce ad apprezzare una classe migliore di persone quando le incontra".
Ora, dato che in casa in quel momento ci sono solo Heathcliff, Hareton e Joseph, uno di loro deve essere per forza il clown. E Heathcliff corrisponde certamente al personaggio violento e crudele della favola di Esopo.
Una volta è citata da Catherine, che dice che non sposerebbe un ‘clown’.
La terza e quarta volta però la parola Clown compare in riferimento a Hareton:
Ma sappiamo infatti che Hareton a questo punto sembra seguire l'esempio di Heathcliff, per emulazione (altra parla chiave, di cui parlerò in un altro articolo).
"Lo zoticone al mio fianco, che sta bevendo il suo tè da una bacinella [...] potrebbe essere suo marito", ci dice sempre Lockwood, che a me pare essere il personaggio che ci offre tutte le chiavi di lettura per capire la morale nascosta di questo romanzo (e forse non è un caso che si chiami proprio LOCK, da ‘chiavistello’, e WOOD, come il secondo personaggio della favola: “Clown and Wood”, ma non spingiamoci troppo in là).
Nel capitolo 4, abbiamo questa prima descrizione di Heathcliff:
"Un tipo piuttosto rude, signora Dean. Non è questo il suo carattere?".
"Ruvido come una sega, e duro come la pietra nera!".
Una sega, il simbolo perfetto per un taglialegna.
E verso la fine del libro, quando è prossimo alla morte, parlando del giovane Hareton e di Cathy, Heathcliff dice a Nelly:
"Mi procuro LEVE e ZAPPE per demolire le due case, e mi alleno per essere capace di lavorare come Ercole, e quando tutto è pronto e in mio potere, trovo che la volontà di sollevare un'ardesia da uno dei due tetti è svanita!".
ZAPPE (Mattocks in inglese). Strana scelta di parole, che non può essere spiegata senza aver capito la favola. Le zappe sono di solito necessarie ai giardinieri e ai soldati per rompere e poi estirpare le radici dal terreno o per rimuovere i ceppi degli alberi. Hareton e Catherine, essendo ancora giovani, sono facili da...estirpare.
Non c'è bisogno di un'ascia.
Ma è comunque un lavoro da clown/taglialegna.
Se tutto questo non fosse abbastanza, un'ultima cosa sulla parola "clown".
Io ho usato l'Oxford Dictionary per trovare il suo significato arcaico, ma non è il dizionario che Emily consultava. Ho quindi poi cercato la parola nel dizionario che possedeva la famiglia Brontë (il Browne's "The Union Dictionary"), e anche in questo caso la parola CLOWN significa: "Un rustico. Un uomo rozzo e maleducato".
In inglese: RUSTIC.
Non c'è neppure un secondo significato, quindi non vi è dubbio che nel descrivere Heathcliff e Hareton come dei ‘clown’ stesse dicendoci che erano ‘rustici/zoticoni’.
E dove avevo già visto la parola RUSTIC, al di fuori di questo romanzo ma a proposito del romanzo? Forse ricorderete che, discutendo di "Cime tempestose" dopo la morte di Emily, sua sorella Charlotte scrisse:
"Per quanto riguarda la rusticità di Cime tempestose, ammetto l'accusa, perché ne sento la qualità. È rustico in tutto e per tutto".
Ci stava forse dando un grande indizio?
Un misterioso frassino
Per aggiungere l'ultimo pezzo mancante del puzzle, mi sono chiesta: quali tipologie di alberi vengono citati nella favola? Perché se la mia teoria è valida - mi sono detta - li dovremmo trovare in Cime Tempestose, possibilmente in qualche scena strategica, o descritti in modo tale che il lettore non potrebbe fare a meno di notarli.
Torniamo un'ultima volta alle parole di Esopo, nell'edizione Croxall:
"[Lo zoticone] rispose che voleva solo un pezzetto di legno per costruire il manico della sua ascia. Poiché questo era tutto, fu votato all'unanimità che avrebbe dovuto ricevere un buon pezzo di frassino, sano e resistente".
Un frassino… Dove avevo già sentito questa parola?
Ho ricontrollato velocemente nel mio ebook, ed eccola lì.
Capitolo 16 di Cime Tempestose. Un capitolo centrale per la storia. È la mattina dopo la morte di Catherine. Nellie esce di casa appena dopo l'alba per dare a Heathcliff la terribile notizia. E lo trova ancora lì ad aspettare "almeno qualche metro più avanti nel parco, appoggiato a un vecchio frassino".
Non ho altro da aggiungere, vostro Onore.
Ma se questo accenno non fosse sufficiente, credo che Emily abbia cercato, proprio all'inizio del romanzo, di ricordarci questa favola, con un'immagine potente: "Il terrore mi rese crudele", dice il signor Lockwood parlando della creatura che gli grida "Lasciami entrare!" nel suo incubo, e poi procede a tirarne il polso sul vetro rotto, e…
"lo sfregai avanti e indietro finché il sangue non colò giù impregnando le lenzuola". Che cosa sta letteralmente descrivendo questa azione, se non l'atto di segare un albero?
(Vi prego di risparmiarmi l'alternativa freudiana).
Come facciamo a tener fuori il male?
Dato che ‘prevenire è meglio che curare’, io credo che Emily Brontë con la sua storia non si sia limitata a metterci in guardia sui pericoli e le responsabilità del lasciare entrare il male "di nostra spontanea volontà", e del perdonare troppo. Io credo che ci abbia anche offerto un rimedio, ancora nei primi capitoli.
E non è nemmeno troppo simbolico. Dopo tutto, come mi ha fatto notare Adam mentre discutevamo insieme del libro, il signor Lockwood alla fine NON lascia entrare la "creatura" dalla finestra, nel suo famoso incubo. Eppure ci viene detto che questa creatura "manteneva una presa tenace" su di lui, e che "la sua mano era aggrappata" alla sua.
Come ha fatto allora a liberarsene?
Dobbiamo rileggere attentamente le sue parole. Il primo consiglio di Emily è nascosto lì: "Feci passare la mano attraverso il buco […] e mi tappai le orecchie per non sentire la sua lamentosa supplica.”
Eccolo lì. In pratica, quando una creatura malefica ha una forte presa su di noi (sia essa una persona maligna o una sostanza, o quel che volete), il secondo in cui allenta miracolosamente la sua presa, dobbiamo essere veloci a cogliere l'attimo e dobbiamo smettere di ascoltare le sue continue suppliche, come Ulisse con le sirene.
E a proposito di creature che si lamentano in continuazione: qual è il personaggio di Cime Tempestose che proprio con le sue costanti suppliche fa cadere in una terribile trappola la sensibile Catherine Linton?
…
Sì. Il figlio di Heathcliff, Linton, alle cui insistenti richieste di accompagnarlo fino a Cime Tempestose, nel capitolo 27, la nostra piccola Catherine cede, come gli alberi fiduciosi e generosi della favola cedono alla richiesta del Clown, ed è la loro rovina.
Il miglior rimedio: “una piramide di libri”
Ma c’era un secondo rimedio nascosto nella frase del Signor Lockwood.
Prima non vi ho dato tutta la citazione.
Eccola qui per intero:
"Feci passare la mano attraverso il buco, ammucchiai in fretta e furia i libri in una piramide contro di esso e mi tappai le orecchie per non sentire la sua lamentosa supplica.”
Quindi secondo Emily, “una piramide di libri” è la chiave per liberarsi dalle grinfie del male. E questo consiglio si sposa forse perfettamente con il finale simbolico del romanzo, dove Cathy regala un libro allo zoticone Hareton, e gli insegna a leggere, salvandolo dal diventare un secondo Clown come Heathcliff.
IL MESSAGGIO DELLA ZITELLA
Riassumendo:
'Cime Tempestose è molto di più che un romanzo gotico scritto per divertimento.
Io credo che sia la rivisitazione moderna di una favola antichissima e immortale, ispirata da Esopo, e che le due parole magiche ed enigmatiche “Lasciami entrare” agiscano come un incantesimo per guidarci alla morale nascosta.La morale della favola può essere riassunta nel proverbio: “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”, una morale ‘difficile da digerire’, ma abbiamo visto che quando le zitelle Brontë "sentono il dovere di dire una verità difficile da digerire... la diranno".
Emily Brontë ci ha suggerito come proteggerci da questo triste destino: facciamo attenzione a chi lasciamo entrare nella nostra vita, non perdoniamo troppo spesso, non prestiamo orecchio alle suppliche lamentose di influenze nocive e non prestiamo un'accetta a un nemico (o almeno poi non andiamo a piangere da Emily! O ci dirà: “Sorella, dobbiamo prenderci le nostre colpe.”)
Il consiglio che il Signor Lockwood ci dà, sull’usare ‘una piramide di libri’ per proteggerci contro le creature del male può ancora oggi essere una lezione che salva la vita, specialmente se il libro regalato a chi ne ha bisogno, e letto tra le righe, è… ‘Cime Tempestose’.
Grazie Emily.
E grazie a voi per aver letto fino a qui.
E.V.A.
‘The history of the year’ di Charlotte Brontë
Link: TheBrontes.net
‘Fables of Aesop and others’ – edizione inglese a cura di Croxall (page 60)
Link: Archive.org