"Perchè leggiamo i libri del passato?" - L'acuta risposta di Virginia Woolf
“In primo luogo, un contemporaneo non può che essere colpito dal fatto che due critici letterari, seduti allo stesso tavolo e nello stesso momento, possano esprimere opinioni completamente diverse sullo stesso libro. Qui, a destra, quel volume viene dichiarato un capolavoro…; a sinistra, simultaneamente, una semplice massa di carta straccia che andrebbe gettata tra le fiamme, se solo il camino riuscisse a sopportare il colpo.”1
Comincia così Virginia Woolf il suo saggio ‘How it strikes a contemporary’ (Come colpisce un contemporaneo), l’ultimo della collezione di suoi saggi intitolata: “THE COMMON READER”, pubblicata nel 1925, nonché libro del mese di novembre nel nostro BOOK CLUB DELLE ZITELLE.
Dopo aver recensito dozzine di libri nei tanti saggi che compongono quel volume, ecco che la Woolf chiude il suo libro chiedendosi perchè la gente apprezzasse ancora così tanto i libri del passato (un’abitudine tanto forte agli inizi del 1900 quanto ancora oggi), e si chiedeva perchè fosse così difficile trovare un capolavoro tra i libri moderni, e perchè i critici non riuscissero, appunto, a trovare mai un accordo a riguardo:
“Eppure, entrambi i critici concordano invece sul poeta Keats, mostrano un'estrema sensibilità e possiedono indubbiamente un genuino entusiasmo. È solo quando discutono dell'opera di scrittori contemporanei che inevitabilmente arrivano ai ferri corti. […] Il libro in questione è stato pubblicato solo due mesi fa. Questa è la spiegazione; ecco perché sono in disaccordo…”
“La spiegazione è strana” prosegue Virginia. “È altrettanto inquietante per il lettore che desidera orientarsi nel caos della letteratura contemporanea, quanto per lo scrittore contemporaneo, che ha un naturale desiderio di sapere se il proprio libro, prodotto con infiniti sforzi e in quasi totale oscurità, sia destinato a brillare per sempre tra le stelle fisse della letteratura inglese o, al contrario, a spegnerne la fiamma. Se ci identifichiamo con il lettore per prima ed esploriamo la sua situazione, il nostro smarrimento dura poco. Lo stesso fenomeno si è verificato così tante volte in passato. Da una vita, ormai, sentiamo critici di grande fama non essere d’accordo sul nuovo ed esser d’accordo sull’antico.”
E se i critici letterari contemporanei (a cui oggi vanno aggiunti i book-bloggers) non sono mai d’accordo su cosa sia realmente un capolavoro, allora a cosa ci serve il loro giudizio - si chiede Virginia?
“Certamente (il loro parere) non vale molto. L’unico consiglio che possono offrirci è di rispettare i nostri istinti, seguirli senza paura e, piuttosto che sottometterci al controllo di qualsiasi critico o recensore vivente, verificarli leggendo e rileggendo i capolavori del passato.”
Ecco quindi un primo motivo per cui leggiamo i classici: dato che non c’è un unico critico letterario in grado di darci una valida opinione sui libri moderni, e che tra loro non sono quasi mai d’accordo, se vogliamo diventare bravi a capire se un libro da poco pubblicato ha valore o meno, il modo migliore per farlo è aver letto talmente tanti libri antichi di qualità da avere un chiaro strumento per riconoscere immediatamente la spazzatura.
Consiglio saggio…
Ma mettiamoci ora per un attimo anche nei panni degli scrittori di oggi.
Come possono, si chiedeva la Woolf, avere un’idea di cosa possa aiutarli a scrivere un capolavoro moderno e non un libro “che la gente preferisce prendere gratis dalla biblioteca, senza investirvi un centesimo? Non esiste forse, al giorno d’oggi, una guida anche per loro?, una persona di grande cultura, sensibilità e talento da ergersi a giudice dei libri moderni, per aiutare anche gli scrittori a regolarsi meglio?
E poi si dà questa risposta: “Dopo un rapido esame, entrambi i critici concordano che purtroppo non esiste una persona del genere.”
Ma è sempre stato così? - si chiede ancora. E poi si dà questa risposta:
“Non possiamo evitare di riflettere sul fatto che non è sempre stato così. Un tempo, dobbiamo credere, esisteva una regola, una disciplina che controllava la grande repubblica dei lettori in un modo che ora ci è sconosciuto. Ciò non significa che i grandi critici—come Dryden, Johnson, Coleridge o l’Arnold di un tempo—fossero giudici impeccabili delle opere contemporanee, i cui verdetti segnavano un libro in modo indelebile e risparmiavano al lettore la fatica di valutarne personalmente il valore […]ma il semplice fatto della loro esistenza esercitava un’influenza centralizzante. Solo questo, non è fantasioso supporlo, avrebbe controllato le divergenze del tavolo da pranzo e conferito a chiacchiere casuali su qualche libro appena uscito un’autorità oggi del tutto assente.”
Nel leggere i quattro personaggi che Virginia cita come fonti autorevoli di giudizi letterari di un tempo, il mio pensiero è volato subito sulle Cime Tempestose dove era stata costruita la casa della famiglia Brontë.
Sappiamo infatti che Charlotte da giovane scrisse proprio al figlio di Coleridge2 proprio per sapere se le sue poesie avessero alcun valore letterario o meno, e suo fratello Branwell era andato addirittura a fargli visita a casa per lo stesso motivo.3
Il giudizio negativo di questi esperti, a quel tempo, aveva il sapore di una condanna a silenzio perpetuo per un aspirante scrittore. Come prosegue Virginia:
“Le diverse scuole di pensiero avrebbero dibattuto animatamente come sempre (su un romanzo nuovo), ma nella mente di ogni lettore sarebbe rimasta la consapevolezza che c’era almeno un uomo che manteneva ben saldi i princìpi fondamentali della letteratura; un uomo che, se gli avessimo sottoposto un libro eccentrico del momento, avrebbe messo quel libro in contatto con la permanenza, ancorandolo saldamente con la sua autorità nel mezzo dei venti contrari di lodi e critiche.”
Questi rari critici letterari di spicco, questi pilastri della letteratura, queste eminenti personalità ‘centralizzanti’ già al tempo della Woolf non esistevano più, proprio come oggi (e non è detto sia un male), quindi dobbiamo accettare la realtà, così come la dovette accettare Virginia:
“Quando si tratta di creare un critico letterario […] il vortice e la turbolenza delle varie correnti che compongono la società dei nostri tempi potrebbero essere dominati solo da un gigante di dimensioni favolose. E dove si trova anche solo l’uomo di statura elevata che abbiamo il diritto di aspettarci? Abbiamo recensori, ma nessun critico […] Non troveremo mai il vigore netto e il profondo acume di un Coleridge. Un grande critico letterario è l’essere più raro. Ma, se per miracolo ne apparisse uno, come potremmo mantenerlo? Di cosa lo nutriremmo?”
E qui Virginia Woolf, con la sua onestà e lucidità, dopo aver praticamente paragonato quelli che sono i book-blogger di oggi a “un milione di poliziotti competenti e incorruttibili, ma nessun giudice”, ci dà un’altra delle sue famose stoccate: mancano critici letterari veri e propri perchè mancano i capolavori di cui questi grandi personaggi in passato si nutrivano. Ma lo lascio dire meglio a lei:
"I grandi critici, se non sono essi stessi grandi poeti, nascono dall’abbondanza di un’epoca. […] Ma la nostra epoca è misera fino alla soglia della desolazione. Non c’è un nome che domini sugli altri. Non c’è un maestro nella cui bottega i giovani siano fieri di fare apprendistato. Sebbene ci siano molti, energici (scrittori) nel pieno dell’attività creativa, non c’è nessuno la cui influenza possa seriamente condizionare i suoi contemporanei, o penetrare oltre i nostri giorni fino a quel futuro non molto lontano che amiamo chiamare immortalità. Se prendiamo come misura un secolo e ci chiediamo quanto del lavoro prodotto oggi in Inghilterra sarà ancora esistente allora, dobbiamo rispondere non solo che non possiamo concordare sullo stesso libro, ma che siamo più che dubbiosi sull’esistenza stessa di un tale libro. È un’epoca di frammenti.”
Colpiti e affondati.
O vi pare che siano cambiate le cose oggi, a distanza di quasi 100 anni precisi?
Secondo voi quale libro pubblicato negli ultimi 10, 20 o 30 anni - tranne forse ‘Harry Potter’ - verrà ancora letto nel 2125, nelle biblioteche e librerie di Marte?
Dei pochi libri di valore pubblicati nella sua epoca, anche Virginia al tempo si chiedeva affranta: “Possiamo forse presentarci alla posterità con un fascio di pagine sparse, o chiedere ai lettori del futuro, con l’intera letteratura a disposizione, di setacciare le nostre enormi cataste di rifiuti per cercare le nostre minuscole perle? Queste sono le domande che i critici potrebbero legittimamente porre ai loro compagni di tavola, ai romanzieri e ai poeti. All’inizio, il peso del pessimismo sembra sufficiente a schiacciare ogni opposizione.
Sì, è un’epoca magra….”
I libri dei contemporanei di Virginia, tranne per alcuni scrittori qua e là che lei apprezzava molto (come Joseph Conrad, W.B. Yeats e Katherine Mansfield) non potevano affatto paragonarsi ai capolavori del secolo precedente, secondo lei. Nulla poteva eguagliare un ‘Orgoglio e Pregiudizio’ della Austen, o i romanzi di Walter Scott. E quindi conclude dando questo giudizio degli scrittori della sua epoca:
“Questa è un’epoca incapace di uno sforzo sostenuto, disseminata di frammenti, e che non può essere seriamente paragonata all’epoca precedente. […] È un’epoca arida ed esausta”, prosegue la Woolf, “e dobbiamo guardare al passato con invidia.”
Eppure anche oggi, come allora, i lettori continuano comunque a leggere anche i libri dei loro contemporanei, anche quando si rendono ben conto che non valgono i soldi che costano per averli in cartaceo, e che infatti compriamo spesso solo come ebook - (facendo arrivare allo scrittore una miseria in diritti d’autore), o addirittura li prendiamo gratis in biblioteca (senza così dare neppure il becco di un quattrino a chi li ha scritti).
Perchè allora, si chiede Virginia, continuiamo a leggere anche libri contemporanei, nonostante la consapevolezza della loro aridità?
“Il nostro ottimismo è in gran parte istintivo”, si risponde. “C’è qualcosa nel presente che non scambieremmo, nemmeno se ci fosse offerta la possibilità di vivere in qualsiasi altra epoca del passato. E la letteratura moderna, con tutte le sue imperfezioni, esercita su di noi lo stesso fascino. È come un parente che snobbiamo e critichiamo aspramente ogni giorno, ma, dopotutto, non possiamo fare a meno di lui. Ha la stessa qualità affettuosa di essere ciò che siamo, ciò che abbiamo creato, ciò in cui viviamo, invece di essere qualcosa, per quanto augusto, di alieno da noi e contemplato dall’esterno.”
E qui la Woolf prosegue descrivendo i cataclismi che la sua generazione aveva dovuto affrontare, in primis la prima guerra mondiale “e l’improvviso cedimento di masse rimaste stabili per secoli—ha scosso la struttura da cima a fondo, alienandoci dal passato e rendendoci forse troppo vividamente consapevoli del presente. Ogni giorno ci troviamo a fare, dire o pensare cose che sarebbero state impossibili per i nostri genitori.”
Anche 100 anni dopo la pubblicazione di questo saggio, queste sue ultime parole sono ancora attualissime. E pur senza guerre mondiali (tocchiamo ferro!) ci ritroviamo anche noi dentro la stessa casa già terremotata a cui stanno di nuovo traballando le fondamenta che davano per solide, o perlomeno sulle quali avevamo cominciato a trovare un nostro equilibrio ballerino negli ultimi decenni.
Ecco perchè, tutto sommato, i libri dei nostri contemporanei ci attirano, proprio come attiravano Virginia, seppur consapevoli della loro aridità, mediocrità o perlomeno del fatto che pochissimi siano dei capolavori. Li leggiamo anche noi, come la Woolf leggeva quelli della sua epoca “in parte nella speranza che riflettano questa riorganizzazione del nostro atteggiamento—queste scene, pensieri e apparentemente fortuite combinazioni di cose incongrue che ci colpiscono con un senso così acuto di novità—e, come fa la letteratura, ce la restituiscano intera e comprensibile.”
Ma oggi come allora, l’entusiasmo di aver finalmente trovato un romanzo, biografia, opera teatrale o poesia che ci restituisca intera una realtà che ormai è iper-frammentata (e ormai letteralmente fantascientifica o distopica), viene presto ridimensionato e torniamo a sospirare:
“Libro dopo libro ci lascia con lo stesso senso di promessa non realizzata, di povertà intellettuale, di brillantezza strappata alla vita ma non trasmutata in letteratura. Molto di ciò che è migliore nel lavoro contemporaneo appare come se fosse stato annotato sotto pressione, riportato in una sorta di stenografia essenziale che conserva con straordinaria vivacità i movimenti e le espressioni delle figure mentre passano sullo schermo. Ma il lampo dura poco, e ciò che rimane con noi è una profonda insoddisfazione. L’irritazione è tanto acuta quanto il piacere è stato intenso.”
Ecco perchè i classici sono come un’oasi di pace in questo deserto letterario, soprattutto quando abbiamo tanta sete di certezze, di qualità e solidità, ed ecco come mai ci sentiamo ancora oggi spinti tra le braccia dei giganti del passato, “mossi non da un giudizio sereno, ma da un bisogno imperioso di ancorare la nostra instabilità alla loro sicurezza.”
Che frase magnifica…
Ma da dove deriva quella deliziosa sicurezza che ci sanno dare i libri di Jane Austen, della Alcott, delle sorelle Bronte, e così via?
"È la forza della loro convinzione—la loro certezza—che si impone su di noi”, secondo Virginia.
Jane Austen sembra chiaramente avere (come Scott etc.) “la naturale convinzione che la vita abbia una certa qualità. […] Hanno un loro giudizio sul comportamento umano. Conoscono le relazioni tra gli esseri umani e il loro rapporto con l'universo. Credere che le proprie impressioni siano valide anche per gli altri significa liberarsi dal confinamento della personalità.”
I nostri scrittori contemporanei invece “ci affliggono perchè hanno smesso di credere”, conclude la Woolf.
“I più sinceri di loro ci diranno solo ciò che accade a loro stessi. Non possono creare un mondo, perché non sono liberi rispetto agli altri esseri umani. Non possono raccontare storie perché non credono che le storie siano vere. Non possono generalizzare. Dipendono dai loro sensi e dalle loro emozioni, la cui testimonianza è affidabile, piuttosto che dai loro intelletti, il cui messaggio è oscuro. […] Posti di fronte a una nuova angolazione del panorama eterno, possono solo estrarre i loro taccuini e annotare con intensità dolorosa i bagliori fugaci e gli splendori transitori, che forse, in fin dei conti, non compongono nulla.”
……
Ma ora che abbiamo visto il punto di vista dei lettori, torniamo per un attimo dagli scrittori di oggi, e vediamo come risponde Virginia ai loro dubbi su come capire se stanno componendo un’opera degna di essere tramandata alle biblioteche future, o una da buttare nel caminetto. Anche qui - se siete scrittori - preparatevi al colpo:
“Per riassumere”, dice Virginia, “mi pare che sarebbe saggio per gli scrittori del presente rinunciare per il loro bene alla speranza di creare capolavori. Le loro poesie, commedie, biografie, romanzi non sono libri ma quaderni, e il Tempo, come un bravo maestro, li prenderà in mano, indicherà le sbavature e le cancellature, e li strapperà; ma non li butterà nel cestino della carta straccia. Li terrà perché altri studenti li troveranno molto utili. E’ dai quaderni del presente che si formano i capolavori del futuro.”
Quanto ai critici letterari di oggi, ai book-blogger e a chi scrive recensioni, e “il cui compito è quello di emettere un giudizio sui libri del momento, il cui lavoro, ammettiamolo, è difficile, pericoloso e spesso sgradevole, chiediamo loro di essere generosi nel dare incoraggiamento, ma parsimoniosi con quelle corone di alloro e quei fregi che tendono facilmente a disallinearsi, a sfiorire, e a rendere chi li indossa un po' ridicoli dopo sei mesi. Che adottino una visione più ampia, meno personale della letteratura moderna, e guardino davvero gli scrittori come se fossero impegnati in una vasta costruzione, che essendo edificata con sforzo comune, i singoli lavoratori possono rimanere anonimi. Fermiamoli mentre escono e chiediamo loro di scrutare l'orizzonte; vedere il passato in relazione al futuro; e così preparare la strada per i capolavori a venire.”
E così, mentre anche noi come Virginia aspettiamo “i capolavori a venire”, è utile ricordare che due anni dopo aver pubblicato quel saggio, sulla mancanza di capolavori nella sua epoca e il bisogno di quelli del passato, fu proprio Virginia Woolf a scrivere un capolavoro che da 100 anni è nella storia della letteratura inglese ed è ormai considerato “un classico” del 1900: il meraviglioso ‘Gita al faro’ (To the lighthouse), che leggeremo e analizzeremo il prossimo novembre.
Rendendosi conto che ormai il linguaggio non poteva più essere usato ‘alla vecchia’ per descrivere le nuove sensibilità della sua ‘epoca di frammenti’, ecco che Virginia ruppe il canone, sollevò l’ancora dal fondale, la scaraventò con coraggio qualche kilometro più avanti, e utilizzò e perfezionò la tecnica dello ‘stream of consciousness’ (flusso di coscienza), riuscendo per la prima volta a far entrare il lettore - quasi letteralmente - dentro la testa dei personaggi di un libro, per sentire tutti i loro pensieri disconnessi, e ascoltare la loro storia frammentata.
E quello era solo l’inizio…
Oggi noi siamo immersi fino al collo in un’“epoca di frammenti”.
A maggior ragione quindi i classici della letteratura (e i grandi della letteratura) hanno ancora un così forte richiamo per noi, e ci è utile leggerli per ancorare la nostra barchetta e non perderci tra i mille uragani moderni. Proprio come allora, anche noi abbiamo un estremo bisogno di “salire sulle spalle dei giganti del passato” per vederci meglio, come diceva Guglielmo di Conches - ma con una grande differenza rispetto ai contemporanei di Virginia…
Mentre i lettori e scrittori modernisti si aggrappavano a quelle ancore e a quei giganti con disperazione, depressione e sgomento - per non sentirsi vacillare e affondare in quei tempi confusi - noi invece - in questa società post-modernista sempre più tecnologica degli anni 2000, su questa Terra sempre più ballerina, tra intelligenze sempre più artificiali, con questi orizzonti sempre più marziani - stiamo forse in parte imparando a convivere ormai con la frammentarietà, persino a giocarci un po’, creando collage, scrapbook, florilegi e ghirlande da apporre sulla fronte dei giganti del passato, sulle cui spalle possiamo abbarbicarci con gioia per vedere più in alto, più in profondità o più lontano.
E uno di questi giganti sulle cui forti spalle a me piace salire, per vederci più chiaro sul mondo e sugli esseri umani, e con le cui sagge parole oggi mi sono divertita a creare questa ghirlanda letteraria, è la gigantessa Woolf.
Grazie Virginia.
E grazie a voi per aver letto fino a qui.
Buona lettura (e rilettura) dei classici.
Buon volo sulle ali dei vostri giganti preferiti.
“Gli antichi avevano solo i libri che loro stessi scrivevano, ma noi abbiamo tutti i loro libri e inoltre tutti quelli che sono stati scritti dall'inizio dei tempi fino ai nostri giorni.… Quindi siamo come un nano in piedi sulle spalle di un gigante. Il nano vede più lontano del gigante, non grazie alla sua propria statura, ma per l'altezza di chi lo sta portando in groppa. Allo stesso modo, noi [moderni] vediamo meglio degli antichi, perché i nostri scritti, per quanto modesti, si aggiungono alle loro grandi opere.” - Guglielmo di Conches - 1123.
E.V.A.
P.S. Il Book Club va in letargo per il mese di dicembre, ma vi farò avere a breve tutti i progetti per l’anno prossimo, con le nuove proposte di letture e Reading Club del 2025, più altre novità, in modo che possiate scegliere cosa seguire o a che cosa iscrivervi.
Citazioni tratte da ‘The Common Reader’ - Virginia Woolf - London, 1925
Traduzioni nel testo a cura di Aida Vittoria Eltanin.
Branwell a casa di Coleridge nel 1840.