Nel fare ricerca su questa Regina per selezionare le sue lettere migliori, ho dovuto capire bene l’inglese arcaico del 1500. Anche se già sapevo in parte decifrarlo grazie a vari esami universitari e letture di quel periodo, resta un inglese piuttosto ostico per tutti, sia da leggere che da tradurre. Potreste quindi pensare: “Tu avevi un obiettivo, ma chi me lo fa fare di imparare come si scriveva inglese in quegli anni?”, e avreste totalmente ragione, ma questo è anche l’inglese del mitico Shakespeare, e se quindi amate le sue opere, leggerle nel suo inglese originale rimane il modo migliore per gustarselo (o per capirlo se andate a teatro in Inghilterra!).
E poi è utile per vedere il cambiamento di questa lingua nei secoli e perchè si è arrivati allo spelling di oggi.
Eccovi quindi quindi alcuni trucchetti e informazioni che possono tornarvi utili, o affascinarvi se amate questa lingua (o Elisabetta)…
Uno spelling folle: la pronuncia dell’inglese di Elisabetta
Quando dico a qualche partecipante del READING CLUB DELLE ZITELLE che leggeremo una lettera della Regina nel suo inglese originale del 1500, temono ovviamente che sarà difficilissima. Certo, quell’inglese arcaico, facile non è. A una principiante non potrei proporlo. Ma per assurdo, al tempo di Elisabetta, leggere l’inglese scritto era più facile di come lo sia oggi!
Vediamo perché…
Se vi trovate oggi parole inglesi scritte con la OW, o la EA o anche solo la U, non c’è alcuna regola che vi dica quando pronunciarle in un modo e quando in un altro.
A volte la U si dice A (cup, trust), a volte IU (unit), a volte un suono strano come quello della I di GIRL (come in turn, purr etc.), solo rare volte sarà una U (put).
PEAR ad esempio si pronuncia come la leggeremmo in italiano, ma FEAR si dice ‘FIAR’ all’italiana, e TEAR si pronuncia sia TIAR che TEAR, in base al significato!
Questo rende l’inglese una delle lingue, se non la lingua, più difficile da saper leggere - e quindi pronunciare - proprio per questa mancanza di regole fisse (che invece ci sono, e si imparano presto, per lingue con una grammatica più difficile, come tedesco, russo e cinese).
Al tempo della Regina Elisabetta, per fortuna, molte parole si scrivevano invece come venivano pronunciate!
Ecco che, per esempio, in una delle sue lettere alla matrigna e Regina Katherine Parr, Elisabetta scrisse:
WETHER (invece di WEATHER)
LITEL (invece di LITTLE)
DIPPER (invece di DEEPER)
FRENDS (invece di FRIENDS)
HIRE (invece di HERE)
SHULDE (invece di SHOULD)
HIRE (invece di HIGHER)
Tutte parole che, se leggete ‘all’italiana’ (tranne per la I pronunciata AI), direte perfettamente!
Per assurdo quindi, vi sarebbe più facile leggere ad alta voce quella lettera, che non una sua versione modernizzata! (Provateci, ve la metto qui sotto!)
Ma non voglio ingannarvi… Tante altre parole ovviamente non sono così facili da pronunciare. Ad esempio, a quel tempo non si usavano due EE per pronunciare la lettera I, come accade spesso oggi (pensate alla parola FEET o DEED e TEETH etc.).
Al tempo si usava solo una E!
Ecco che quindi, in alcune sue traduzioni dal latino, la Regina Elisabetta scrisse:
BREDE al posto di BREED
DED al posto di DEED
KEPE al posto di KEEP
NIDE al posto di NEED
GRIKIS al posto di GREEKS
FITE al posto di FEET
Che altro era molto diverso? La parola THE - che oggi significa solo l’articolo IL / LO / LA etc, veniva al tempo usata sia per definire THE, sia THEY (loro) sia THEE (il TU arcaico)! Quante volte mi sono trovata una frase tipo:
“The sent me the letter I wrote to the”
e stava per:
“THEY sent me THE letter I wrote to THEE”!
Come spiega la prima donna che nel 1800 rese pubbliche le traduzioni in inglese dal latino di Elisabetta, Caroline Pemberton1, a rendere ulteriormente difficile leggere l’inglese di questa Regina, la preposizione TO ad esempio valeva sia per TO che per TOO (troppo). Si seguivano poi ancora i latini nello scrivere la V al posto della U iniziale, creando molta confusione oggi a chi come me ha dovuto leggersi nei manoscritti centinaia di volte parole come VNION (invece di UNION) etc. etc.!
La Y poi veniva cacciata un po’ ovunque, tipo il sale sulle pietanze, e molte parole derivate dal francese venivano scritte seguendo ancora la pronuncia francesina. Ad esempio, COLORE si scriveva COULOR invece del COLOUR moderno. La parola PERFETTO, che oggi si scrive PERFECT, al tempo si scriveva PARFAID, simile infatti al suono del francese PARFAIT, come chiaramente si pronunciava la parola a quel tempo. Tutte queste parole di origine francese finirono poi per assumere uno spelling tutto inglese, nel tempo, e una pronuncia diversa.
Per finire, c’erano vocaboli scritti in modo completamente diverso da quelli moderni, pur avendo la stessa radice: forse la più strana è YEES, che ci sembra YES e che invece significava OCCHI = EYES!
Un inglese ‘ricamato’: la struttura dell’inglese di Elisabetta
Quanto alla struttura delle frasi, pur non mettendo un punto neanche sotto tortura e scrivendo frasi lunghissime che neanche il Dottor Azzeccagarbugli avrebbe osato fare, adoro l’inglese di questo periodo perchè le frasi di Elisabetta e dei suoi contemporanei sono sempre piene di meravigliose metafore e similitudini, e diventavano elaborate come uno stupendo arazzo, anche se complesse al punto tale da necessitare una rilettura e una ripetizione molto lenta, in modo da poter seguirne bene il discorso.
Non confondete queste frasi però con le famose “word salads” di oggi, quei paroloni molto belli ma vuoti, quelle ‘insalatone di parole’ - come le chiamano gli inglesi - usatissime da molti politici, filosofi o falsi poeti moderni che alla fine non hanno alcune sostanza. Qui invece la sostanza c’era eccome, ma era una sostanza riccamente elaborata. C’era sia il fumo che le patate arrosto insomma.
Ad esempio, invece di dire alla Regina di Scozia che non si era affatto dimenticata di lei, Elisabetta le scrisse che lei non aveva bevuto “dalle acque del fiume Lete”, e che “quel fiume non esiste in Inghilterra”. Meraviglioso, no?
Mi viene voglia di usarlo per rispondere a chi mi dicesse: “Ti sei dimenticata di me??”.
Vi metterò altri esempi di frase ora, tratti da alcune lettere che ho selezionato per il mio libro ‘Elizabeth, una Regina stoica’. Provate a leggerli a velocità normale prima. Probabilmente arriverete alla fine chiedendovi: “Ma che ha detto?”.
Poi però provate a rileggerli una seconda e terza volta MOLTO PIANO, e seguendo tutto il discorso parola per parola, o meglio, immagine per immagine, finché ogni riga non vi sarà chiara. Ci vuole un po’, ma più frasi di questo tipo si leggono, e più si entra nello spirito elisabettiano e diventa normale sentir usare tutte quelle meravigliose metafore visive…
(E non vi ho messo le più difficili).
Ad esempio, per dire scusa al suo fratellino (Re Edoardo) per aver tardato a mandargli un ritratto, come lui le aveva richiesto, invece di dirgli un semplice ‘scusa per il ritardo’ o dirgli che si vergognava che vedesse il quadro, gli scrisse:
“… se la mia buona inclinazione interiore verso vostra Maestà potesse venir dichiarata così bene (nel ritratto) tanto quanto con chiarezza vedrete l’aspetto esteriore del mio viso, non avrei tardato nell’obbedire al vostro comando, ma l’avrei anticipato io.”
In pratica, facendo una parafrasi:
“Se il mio ritratto potesse mostrarvi anche l’interno della mia mente, e non solo l’aspetto esteriore del mio viso, allora sì che mi avrebbe fatto piacere mandarvelo, perché il ritratto vi avrebbe così rivelato quanto la mia mente vi sia fedele. Anzi, fosse possibile una tale cosa non avrei aspettato mi ordinaste voi di mandarvi un mio ritratto, ma ve ne avrei mandato uno io! Ma purtroppo voi così vedrete solo la mia faccia e non la mia anima, e io avrei tanto preferito venire da voi di persona che spedirvi un quadro!”
Alla sorella e Regina Maria, che l’aveva gettata in prigione e che si era rifiutata di vederla un’ultima volta, aveva scritto disperata la notte prima di partire per la Torre di Londra: “Inginocchiandomi con l’umiltà del cuore, dato che non mi è concesso di abbassare le ginocchia in vostra presenza…..”.
“Inginocchiandomi con l’umiltà del cuore”….
Poesia.
Al suo miglior amico e favorito a Corte, Lord Robert Dudley, Elisabetta un giorno scrisse di essere un po’ confusa e di perdonarla per le frasi un po’ sconnesse che stava per scrivergli. Come glielo disse?
“Rob: temo che tu possa supporre, dai miei scritti alla rinfusa, che una luna di mezza estate abbia preso ampio possesso del mio cervello questo mese…”
Era pure simpatica :)
Al figlio della Regina Mary, il famoso Giacomo I che poi diventerà suo erede, un giorno Elisabetta scrisse una lettera per ringraziarlo della sua fedeltà e amicizia, dopo un evento in cui aveva dato prova di essere dalla sua parte. Come gli avreste detto voi grazie, a inizio lettera? Ecco come lo fece lei…
“I marinai più esperti si vantano delle loro navi migliori quando queste attraversano le onde più alte senza cedere e passano agilmente tra le tempeste più dure. Analogamente, suppongo, la miglior prova e il vanto più sicuro degli amici si può avere quando le più grandi persuasioni e i più potenti nemici si oppongono come partiti. Se allora appare una buona volontà costante e inamovibile, lì si compie la migliore dimostrazione di un’amicizia.”
Anche quando doveva sgridare qualcuno (e lo faceva spesso dato che era schietta e sincera), sapeva farlo con un inglese impeccabile, da vera scrittrice.
Ad esempio, quando il Re francese Enrico IV, per l’ennesima volta, le chiese uomini, armi e soldi per combattere contro i francesi cattolici, Elisabetta decise di dirgli finalmente basta, e lo fece iniziando così la sua lettera:
“E’ sempre stato il consiglio dei saggi di governarsi così bene nei confronti dei propri amici da poter così più audacemente contare su di loro nei momenti del bisogno; poiché sovraccaricarli invece di sostenerli significa venire loro meno. Ricordando ciò…… vedo che non mantenete più alcuna misura nell’aumentare i costi e il pericolo per i miei sudditi……. Quindi mi perdonerete se non graverò più su di loro, né indebolirò ulteriormente le mie casse.”
Prevedendo che lui poi l’avrebbe minacciata di toglierle l’amicizia, e quindi l’alleanza, lei finì la lettera dicendogli:
“Imparerei una buona lezione se perdessi una così buona compagnia, piuttosto che per mancanza di previdenza perdessi me stessa.”
Notevole no? O piace solo a me questo linguaggio così metaforico?
Spero che questi brevi esempi vi abbiano divertito, che abbiate imparato qualcosa, o che vi abbiano ispirato a scrivere più metaforicamente, e ‘ricamare’ il vostro inglese. Trovate sia gli originali inglesi, sia le traduzioni di queste e molte altre lettere di Elisabetta nella biografia già citata, insieme a tutti i contesti storici e le cornici biografiche di riferimento per capirle al meglio, se vi interessa l’argomento, o il personaggio.
E ora, come diceva spesso Elisabetta alla fine di una lettera:
“per non affaticare i vostri occhi, terminerò qui.”
Grazie Elizabeth.
E grazie a voi per aver letto fino a qui.
E.V.A.
Caroline Pemberton, ‘Queen Elizabeth’s Englishings’ - 1899.